17 novembre 2008

Dalla piazza alla strada, il partito sociale avanza!

Abbiamo iniziato quasi come fosse una scommessa, passando l’estate a trovare un panificatore democratico che accettasse la sfida di darci il pane ad un euro al kg, mentre pensavamo a come far comprendere ai più che vuol dire partito sociale, radicamento, utilità.
Siamo partiti da Roma con i compagni di Action, molti di noi con ancora l’amaro in bocca di un congresso duro quanto necessario. Ci siamo sentiti dire di essere plebei, caritatevoli, populisti, ma ogni banchetto fatto, ogni sezione tramutata in magazzino popolare ci richiamava ed ordinava più pane, da San Lorenzo a Casalbertone fino al Corviale, da Tor Pignattara a Prati, e poi da Roma a Milano, nel Veneto delle ronde, ad Ancona, nei mercati di Perugia, nei quartieri popolari di Potenza, Benevento, fino ad arrivare a Livorno. La prossima settimana probabilmente i GAP saranno dentro la Fiat di Mirafiori e di Melfi. Non ci vuol molto a capire che questa nostra idea, semplice e ripetibile con la quale iniziare a sondare la disponibilità di una riattivazione sociale del nostro partito ha fatto centro, mostrandoci inaspettatamente che nonostante tutto Rifondazione Comunista è un partito di cuori rossi generosi, di militanti che ti chiamano la sera e ti dicono che finalmente hanno ritrovato quello che cercavano più di ogni altra cosa, una connessione sentimentale con il nostro popolo. Altro che Carità, la dignità e la solidarietà di un nuovo mutualismo sembrano far breccia in una maniera del tutto inaspettata. Nel silenzio dei grandi media siamo riusciti a comunicare questa nostra esperienza orizzontalmente, passando su una comunicazione intermedia ma non meno significativa, di noi più che Repubblica ha scritto la Gazzetta dello Sport, il Romanista o quasi tutti i giornali locali, per non parlare di come si sia diffusa questa notizia con il passaparola, nei centri commerciali, nelle borgate, nei caseggiati.
Le reazioni scomposte di alcuni panificatori, o delle associazioni dei commercianti, avute soprattutto al sud ci dicono inoltre che questa pratica è efficace anche dal punto dei segnali che da alla città, e su questo occorre lavorare per disarticolare un fronte che in realtà non c’è nemico, non è il piccolo commerciante il nostro bersaglio, ma la speculazione e i cartelli della speculazione.
Un vecchio compagno di Torino, operaio, di quelli che non te le mandano a dire ci ha detto che finalmente ha visto un partito che “ha smesso di mettere il lievito sulla merda”, invece di narrare le sofferenze altrui ci siamo tirati su le maniche e si è costruito un esempio riproducibile, di uscita dalla condizione di miseria crescente. Non conta ci ha detto che lo fai una volta alla settimana, conta che lo fai, e che dimostri che all’egoismo della destra c’è uno strumento che si chiama solidarietà fra pari come alternativa concreta, ovvero che se ti metti insieme e contratti il prezzo dal produttore ed acquisti collettivamente migliori il rapporto qualità/prezzo del prodotto. Onestamente nessuno di noi si aspettava le file di pensionati davanti ai nostri banchetti, nessuno si aspettava che la mattina quando ancora non hai tirato su le serrande delle nostre sedi già trovi persone che ti prendono il pane, nessuno si aspettava attivisti sociali che ti chiamano e ti dicono che sono disponibili a darti una mano. Se questi banchetti ci dicono una cosa, è che la povertà crescente in questi anni non ha avuto una dignità nel discorso pubblico, vissuta silenziosamente come colpa senza mai tradursi in istanza politica collettiva, e questa nostra iniziativa che si pone quasi come un’inchiesta grezza, contribuisce a svelare questa dinamica. Ma il piano del discorso pubblico necessità anche una traduzione politica, per questo abbiamo da un lato accompagnato questa campagna con odg in comuni e regioni, dall’altro cercando di immettere questi contenuti nello sciopero generale del 12 dicembre. La crisi che abbiamo davanti, dentro la quale i padroni vogliono farci pagare la ristrutturazione del sistema capitalista sulla nostra pelle ci impone d’investire senza mediazioni sul terreno della resistenza sociale. Oggi, nel trionfo della precarietà anche la cassa integrazione diventa un lusso, Fiat, Alitalia, sono solo due delle innumerevoli crisi che stanno investendo il nostro sistema produttivo, messi come siamo ci rimane la solidarietà di classe e il conflitto. Se non vogliamo pagarla questa crisi occorre insomma attrezzarci, per questo è necessario fare un passo in avanti, e lavorare per tramutare questa nostra campagna in una nuova concezione dell’agire politico e sociale. Noi chiamiamo questo movimento “dalla piazza alla strada”, ovvero la capacità di rendere continua la nostra presenza nel territorio nello spazio della quotidianità. Per far questo è necessario continuare a lavorare come abbiamo fatto finora consolidando i GAP, ma anche dando la possibilità a chiunque di aprire un GAP in ogni caseggiato, in ogni luogo di lavoro, ovunque. Per questo occorre avere sempre bene in mente che pur mettendoci tutta la nostra generosità, siamo insufficienti come partito ad affrontare da soli una sfida di così ampia portata. Occorre allora favorire un percorso fecondo di intreccio fra il partito che si socializza nelle pratiche e la società che si politicizza, non solo il solito intergruppo a rete di obbiettivo tra partito e strutture di movimento, ma qualcosa di molto più “infestante socialmente”. Lavorare per diffondere la pratica orizzontale della formazione da pari a pari, fatta di persone che vivono la stessa condizione d’incertezza e disagio prodotto dalla crisi e che sanno non solo come si fa un GAP, ma che a loro volta sono in grado di formare altre persone perchè a loro volta facciano altrettanto, ci pare oggi la sfida più importante. In questo caso sì, senza tentennamenti possiamo dire che si va oltre, ma non oltre Rifondazione Comunista, quanto semmai oltre la forma imbalsamata dei convegni romani dell’agire politico. Investendo a piene mani nella società, nella capacità di generare, riconoscere, accompagnare e sostenere pratiche di autorganizzazione sociale oggi noi possiamo far fare a questo partito quel passo in avanti che c’è sempre mancato, e forse è proprio perchè siamo piegati nella sconfitta che vediamo quello che era sotto di noi con uno sguardo differente. I GAP insomma sono del popolo per il popolo, e costituiscono una pratica di autorganizzazione sociale irrappresentabile. Come partito sia chiaro, non penso che ci sia utile mettere il cappello su niente, al tempo stesso però che a nessuno venga in mente di toglierci di mano le nostre bandiere, noi continueremo a fare i nostri banchetti del pane e a lavorare perchè i GAP si moltiplichino, dentro e fuori di noi. E’ vero che tutto questo investe anche il terreno del potere, i nodi della rappresentanza ed una diversa idea di come nel territorio riusciamo a generare coalizioni dell’alternativa, nuova contrattazione, democrazia. Cosi, è altrettanto vero che mentre ci sono compagni che fanno il sociale, e sabato dopo sabato per mesi sono in piazza, non ci debba essere una separazione con altri compagni che fanno la politica alta nelle chiuse stanze, partito sociale e attuazione della conferenza di Carrara dal mio punto di vista, devono andare di pari passo. Ma di questo avremo modo di parlare nei prossimi giorni, il tempo per una volta sta dalla nostra parte.


Piobbichi Francesco - Dip. PARTITO SOCIALE - PRC

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